Hero Ball: 5 goal per raccontare il 2010/11 di Samuel Eto’o

Alberto Cantù
8 min readApr 1, 2021

Mi sembra che i tifosi dell’Inter abbiano una percezione parziale di quello che è stato Samuel Eto’o in nerazzurro. Attratta dal bagliore dei trofei del Triplete, la nostra memoria collettiva ci propone immediatamente immagini che lo vedono sputare sangue sulla fascia, mordere i talloni di Dani Alves come il più rognoso degli esterni difensivi, esaltarsi per una diagonale difensiva su Robben. Dicevo, secondo me si tratta di una visione distorta, perché ci porta a pensare ad Eto’o come a un terzino cinque stelle extra lusso più che come a uno dei giocatori più forti ad aver mai vestito il nero e l’azzurro. Credo che a questo fraintendimento abbia contribuito involontariamente lo stesso Eto’o. Una delle sue massime più famose, quel «corro come un negro per guadagnare come un bianco», sembra dipingerlo come un giocatore definito dalla sua volontà di sacrificarsi piuttosto che dalla sua capacità di segnare caterve di goal. In realtà non è stato così, almeno non del tutto. È vero che Eto’o è stato un giocatore capace di sacrificarsi (sia accettando di non essere LA stella della squadra nel Barcellona di Ronaldinho e Messi, sia accettando il dirottamento sulla fascia all’Inter), ma se intendiamo questo sacrificio come una forma di umiltà e lo eleviamo a principale chiave di lettura del personaggio rischiamo di fraintendere completamente la questione.

La vera chiave di lettura, secondo me, è quella trovata da Daniele Morrone, che in un pezzo uscito su L’Ultimo Uomo definiva Eto’o «Un giocatore che ha un egocentrismo tanto grande da fare il giro e diventare abnegazione totale alla causa». Paradossalmente, Eto’o aveva un ego talmente grande da impedirgli che il suo stesso egocentrismo gli precludesse la vittoria, e quindi è stato disposto a fare un passo indietro, o di lato, pur di sollevare trofei. Più raramente è capitato il contrario, ovvero che la sua dedizione alla causa facesse il giro inverso e lo portasse a monopolizzare la scena da indiscusso alpha. Se escludiamo la nazionale e il periodo giovanile al Mallorca, l’anno in cui Eto’o si è preso sul serio il palcoscenico è stato il 2010/11, l’anno che troppo spesso ci dimentichiamo in favore del precedente, l’anno in cui Samuel Eto’o ha messo in scena un hero ball di livelli inediti. Parliamo di 37 goal e 18 assist, che sommati arrivano al 66% della produzione offensiva di un’Inter molto più vulnerabile che in passato, scialba e incerottata con Benitez, entusiasta ma comunque schizofrenica sotto Leonardo. Sono convinto che la seconda stagione di Eto’o all’Inter sia stata la seconda miglior stagione individuale della storia recente dell’Inter. Dico “seconda” perché il 1997/98 di Ronaldo non è di questo mondo, è materia da analizzare alla NASA o al Vaticano, ma la 2010/11 di Eto’o è davvero l’unica a reggere almeno il confronto. Di sotto ho scelto 5 di questi 37 goal, quelli che secondo me raccontano meglio che cosa è stato Samuel Eto’o nel 2010/11.

  1. Cagliari-Inter, 17 ottobre 2010

Il 17 ottobre l’Inter di Benitez non è ancora naufragata in mezzo a infortuni e incomprensioni tattiche, e si presenta al Sant’Elia di Cagliari con la possibilità di portarsi momentaneamente in testa al campionato. La partita è tosta, il Cagliari va più volte vicino al vantaggio, poi dal nulla Eto’o la squarcia con un goal «esagerato».

Aggancio al volo di destro, sterzata verso sinistra prima ancora che la palla tocchi terra e tiro secco sul primo palo. Tre tocchi di palla effettuati senza occupare più un metro lateralmente, con una fluidità di movimento insostenibile per Davide Astori, che ha abboccato alla finta di tiro di destro che in realtà serviva ad Eto’o per apparecchiarsi il pallone sul sinistro. Di tutte le cose belle di questo goal, quella che mi lascia più di stucco è proprio la rapidità nel coordinarsi per il tiro. Non c’è un passo sprecato che sia uno, e per questo Astori non può recuperare e Agazzi non fa nemmeno in tempo a sperare di respingere il tiro. Ci sono almeno una mezza dozzina di goal di quell’anno in cui Eto’o mostra questa capacità paranormale di coordinarsi in spazi strettissimi, fondamentale per divincolarsi dalla morsa delle difese di Serie A.

2) Palermo-Inter, 19 settembre 2010

Il lunedì successivo a Palermo-Inter (vinta 1–2 in rimonta con doppietta del 9) non ricordo su quale giornale lessi l’appello a preservare Eto’o come un panda, visto che nella riserva naturale della Serie A fuoriclasse del genere erano una specie in via d’estinzione. Guardando questo goal è impossibile non dare ragione a quel titolo, perché Eto’o sembrava davvero fare un altro sport.

Ezequiel Muñoz non è nemmeno un cattivo difensore e non sta nemmeno difendendo male. Quando Eto’o passa la gamba destra sopra il pallone, Muñoz tenta l’intervento perché non contempla la possibilità che Eto’o possa usare la stessa gamba per spostare il pallone in avanti. A dire il vero, in quest’azione più che un panda Eto’o sembra un crotalo che morde un domatore troppo avventato. Se notate, l’assist glielo offre Milito, e non sarà l’unico di una stagione in cui El Principe sarà costretto a rimanere in disparte. La stagione sontuosa di Eto’o fa da contraltare a quella malinconica di Milito, che quell’anno giocherà poco, segnerà ancora meno e sbaglierà goal (remember Inter-Juve all’andata?) che l’anno prima avrebbe infilato in pantofole. È davvero un peccato che in quel biennio Milito ed Eto’o si siano passati il testimone di attaccante on fire senza che i loro picchi di forma s’intersecassero mai del tutto. O forse, l’assenza del Principe è stata una condizione necessaria alla deflagrazione offensiva di Eto’o nel 2011. Senza Milito, Samu si è preso un ruolo più centrale anche letteralmente, visto che giocherà più vicino alla porta.

3) Inter — Werder Brema, 29 settembre 2010

La prima casalinga di Champions è una delle tante partite saltate da Milito, quindi Eto’o gioca davanti nel 4231 di Benitez. L’avversario è il Werder Brema. Coppia centrale del Werder Brema: Per Mertesaker — Sebastian Prödl, praticamente due gargoyle. Il mismatch con la velocità pura di Eto’o resta comico per tutta la partita. Al 27’ Samu viene incontro a Lucio per dettare un passaggio corto. Prödl non fa nemmeno in tempo ad aggredirlo per cercare un anticipo fin troppo ottimistico che si ritrova Eto’o sfrecciargli in profondità. Lo scatto è talmente veloce che anticipa la traiettoria del lancio di Lucio, Prödl ha quasi recuperato ma Eto’o riesce ad agganciare il pallone e a portarselo avanti, poi batte l’uscita di Wiese di destro. Qui la cosa incredibile è che su un controllo così complicato Eto’o non perde velocità, caso mai guadagna la separazione necessaria ad aggiustarsi il pallone.

Nel girone di Champions Eto’o è se possibile ancora più devastante che in campionato, perché contro squadre che difendono più alte la sua sensibilità nell’attaccare la linea fa la differenza. La quantità di soluzioni del suo bagaglio tecnico lo rende praticamente ineluttabile: può segnare da qualunque posizione del campo, in qualunque situazione di gioco e in qualunque momento.

4) Inter — Genoa, 6 marzo 2011

Diversi goal di Eto’o nascono da errori dei difensori. Letture sbagliate, anticipi goffi, addirittura scivoloni gialappeschi. Secondo me questa sfilza di errori non è casuale, perché ho l’impressione che a causali fosse la paura che Eto’o generava nei difensori avversari. Alcune volte con la minaccia della sua velocità (guardate quanto è goffo Ceccherini qui), altre sorprendendoli come se fosse balzato fuori all’improvviso dall’erba alta. Sono sicuro che tutti ci ricordiamo come nasce il 2–3 di Pandev a Monaco, con Breno che sembra dimenticarsi di avere dietro Eto’o, poi va nel panico quando se ne rende conto e finisce per farsi taglieggiare il pallone. Da una situazione simile è arrivato uno dei goal più belli della stagione di Eto’o.

I difensori del Genoa si scambiano il pallone con la tranquillità di un torello pre partita, come se avessero dimenticato che c’è un predatore nella zona. Una volta scippato il pallone a Mesto, Eto’o attacca l’area come fosse Alberto Tomba a Kitzbühel. Salta Kaladze come fosse una porta e poi chiude lo slalom gigante anticipando l’uscita del portiere con la punta del sinistro. Eto’o non è mai stato pulitissimo nell’esecuzione, avevi sempre l’impressione che si muovesse in modo caotico (anche qui la palla gli scappa via nel momento in cui entra in area) ma che poi in questo caos l’unico a non confondersi fosse lui.

5) Chievo — Inter, 21 novembre 2010

Il motivo per cui ci ricordiamo meno di quanto dovremmo del 2010/11 di Eto’o è semplice. Il suo rendimento è stato spesso inversamente proporzionale a quello del resto della squadra, e al di là di una Coppa Italia non ha portato altro, mentre le sue diagonali difensive sono valse l’anno migliore della nostra storia. È una coincidenza piuttosto significativa che il suo goal più bello sia arrivato nel momento più grigio della stagione. Domenica pomeriggio di novembre, la pioggia che batte sui gradoni scoloriti del Bentegodi, l’Inter che affanna nel fango sotto 2–0, già trafitta da Moscardelli e Pellissier.

Al 91’ Eto’o riceve largo sulla sinistra e punta l’area del Chievo. All’interno dei 16 metri ci sono Goran Pandev, Amantino Mancini e Denis Alibec: un gregario del triplete in calo di forma, uno che non è più un giocatore di calcio e uno che non lo sarà mai ad alti livelli. Poco fuori dall’area c’è Sneijder, uno dei pochi che parla la sua stessa lingua calcistica, ma Samu come tante altre volte quell’anno parte per un monologo irrefrenabile: sembra galleggiare sul fango mentre gli avversari uno a uno vanno a terra. Entra in area, finta di calciare, fa sdraiare Dainelli e poi trova l’angolo giusto per bucare Sorrentino.

È un goal stupendo, eppure è un goal che non conta niente, perché arriva a tempo scaduto di un terrificante 2–1 in trasferta a Verona. La bellezza stordente del suo slalom stride con il contesto deprimente, come se Raffaello affrescasse il cesso di un Autogrill. Samu ha spremuto ogni stilla del suo talento, ma non è riuscito ad invertire le sorti di una squadra tenuta su con lo scotch.

A dire la verità ci è andato molto vicino, perché ad aprile di quell’anno l’Inter era incredibilmente in corsa su tutti e tre i fronti. Putroppo il miglior Eto’o di sempre non è bastato per chiudere la stagione vincendo qualcosa di davvero importante, perché ok, la Coppa Italia non è il Birra Moretti, ma all’epoca eravamo molto più schizzinosi riguardo alla qualità dei trofei. Alla fine, i virtuosismi di Eto’o sono valsi meno dei suoi sacrifici, e per questo tendiamo a ricordarci e ad apprezzare più i secondi che i primi. Sarebbe un errore non valorizzare la parte più scintillante della sua legacy, perché se sono poche le tifoserei che hanno festeggiato un triplete, quelle che hanno potuto stropicciarsi gli occhi per un giocatore come Eto’o non sono poi molte di più.

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